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Nov 13, 2018 Marco Schiaffino In evidenza, News, RSS, Scenario 0
L’occasione era quella della commemorazione della fine della Prima Guerra Mondiale, tenutasi in Francia proprio in questi giorni. Un appuntamento simbolico, che il Presidente francese Emmanuel Macron avrebbe voluto sfruttare per mettere un freno ai “venti di guerra” che si respirano nel cyber-spazio.
Il Paris Call for Trust and Security in Cyberspace, nelle intenzioni, sarebbe dovuto essere un vero e proprio accordo globale per contrastare il dilagare del cyber-crimine. La “chiamata”, però, non ha avuto un grande successo.
Anche se il numero di nazioni che hanno aderito (51) è piuttosto elevato, l’accordo registra una serie di defezioni importanti. Prime tra tutte quelle di Cina e Russia, che nell’immaginario collettivo (e non solo) rappresentano due degli attori più vivaci nel settore del cyber-spionaggio.
Ma anche dall’altra parte della barricata le reazioni sono state freddine. A chiamarsi fuori sono stati infatti anche Stati Uniti, Gran Bretagna, Nuova Zelanda e Australia. Tutti membri del club dei Five Eyes (il gruppo di nazioni che agiscono di concerto nel settore dell’intelligence – ndr) all’interno del quale il solo Canada ha deciso di aderire all’iniziativa. Tra i dissidenti anche Israele, Iran e Nord Corea.
C’è poco da stupirsi. Tra gli obiettivi del progetto, infatti, cozzano frontalmente con le pratiche di tutti gli stati che hanno negato la loro partecipazione.
Difficile, per esempio, immaginare un rappresentante cinese seduto a un tavolo per “lavorare insieme per combattere le violazioni della proprietà intellettuale via Internet” o gli USA di Trump e la Russia di Putin impegnati a “cooperare per prevenire interferenze nei processi elettorali”.
Il fallimento dell’iniziativa diplomatica arriva in un periodo particolarmente teso, segnato sia dagli “incidenti” collegati agli appuntamenti elettorali, sia da una ripresa delle tensioni tra USA e Cina seguita alla fine dell’armistizio siglato tra Obama e Xi Jinping.
La sensazione è quella di un’occasione persa, anche perché tra gli obiettivi ce ne sono alcuni (per esempio quello di collaborare a creare veri standard internazionali) che potrebbero davvero aiutare in ambito di cyber-security.
Tanto più che, accanto ai 51 governi che hanno aderito, la chiamata di Macron è stata raccolta anche da decine di aziende del settore tecnologico e organizzazioni di vario genere, che avrebbero potuto dare un notevole contributo alla “demilitarizzazione” di Internet.
A confermarlo è anche la posizione di Kaspersky, anche una delle società di sicurezza più sensibili al tema. “La Call di Parigi si basa su diversi principi e su linee guida importanti per la sicurezza informatica internazionale” spiegano dalle parti di Kaspersky.
“In particolar modo, riconosce ai principali attori del settore privato un ruolo importante – nel miglioramento della fiducia, nel far crescere la sicurezza e la stabilità nel cyberspazio – e incoraggia tutte le iniziative volte a rafforzare la sicurezza dei processi e dei prodotti digitali lungo tutta la filiera. Promuove, inoltre, un’ampia cooperazione digitale e un approccio multi-stakeholder per incoraggiare la consapevolezza, lo sviluppo delle capacità e la fiducia”.
La posizione di Kaspersky, simile a quella di altre società di sicurezza, è motivata annche dalla prospettiva inaugurata recentemente dall’azienda russa, che si sta impegnando per “sganciare” l’attività degli specialisti della cyber-security dalle beghe geopolitiche.
“La soluzione passa anche dalla volontà di mostrarsi più trasparenti e dall’impegno nel dare agli stakeholder la prova che possono davvero riporre fiducia nella sicurezza informatica. Noi abbiamo già avviato questo percorso, attraverso la nostra Global Transparency Initiative (GTI), un programma progettato per la costruzione della fiducia, della responsabilità, dell’affidabilità e della resilienza. Nell’ambito della GTI, stiamo già trasferendo alcune delle nostre infrastrutture in Svizzera, a partire dal 13 novembre 2018, data nella quale avvieremo il trattamento dei file sospetti e malevoli, condivisi dagli utenti di tutta Europa, a Zurigo, aprendo le porte del nostro primo Transparency Center“.
Insomma: le aziende ci credono. I governi un po’ meno.
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