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Mar 13, 2019 Marco Schiaffino Gestione dati, In evidenza, Leaks, News, RSS, Vulnerabilità 0
L’ennesimo capitolo dell’incubo cloud coinvolge Box, uno dei servizi più celebri e utilizzati a livello enterprise per conservare e condividere documenti.
Come spiegano i ricercatori di Adversis, che hanno condotto un’approfondita ricerca sul tema, il problema riguarda il sistema di condivisione dei file messo a disposizione da Box, che molti utilizzano in maniera decisamente.. “superficiale”.
Lo strumento è piuttosto semplice e di uso intuitivo: basta scegliere il documento che si vuole condividere e viene creato un link che permette a chiunque di accedervi. Il problema è che la sintassi usata per creare il percorso è decisamente prevedibile, del tipo https://<companyname>.app.box.com/v/<filename>.
A peggiorare la situazione c’è il fatto che scoprire se un’azienda ha un account Box è tutt’altro che difficile. I ricercatori spiegano infatti che basta digitare nel browser un indirizzo del tipo https://<companyname>.account.box.com e vedere cosa succede. Se compare il logo dell’azienda, esiste un account.
Il risultato finale è che chiunque può scoprire se una società usa Box e poi utilizzare tecniche di brute forcing per individuare tutti i file condivisi e accedervi senza problemi.
In teoria (e questa volta lo diciamo senza ironia) in questo caso varrebbe la celebre risposta “non è un bug, è una feature” che sentiamo spesso ripetere dagli sviluppatori quando non hanno nessuna intenzione di ammettere un errore.
Dalle parti di Box, infatti, hanno previsto questa funzionalità per condividere su Internet documenti e informazioni pubblici o di interesse generale. Insomma: in questo calderone non dovrebbe esserci alcun dato sensibile, per il quale è invece pensata una funzione apposita che limita l’accesso ai soggetti che ne hanno l’autorizzazione (per esempio gli impiegati della società) impedendolo a chiunque altro.
Peccato che siano ben poche le aziende che hanno capito la differenza e, stando a quanto riporta Adversis, una ricerca di 48 ore ha permesso di raccogliere migliaia di informazioni riservate, tra cui fotografie di passaporti, dati personali, ma anche progetti di prototipi con tanto di file CAD.
Non ultime, anche informazioni sulle configurazioni dei sistemi, delle VPN e altri dati che rischiano di mettere a repentaglio la sicurezza dei sistemi informatici delle aziende coinvolte.
La società di sicurezza ha inviato numerosi alert alle aziende coinvolte (nell’elenco ci sarebbero anche Apple, Discovery Channel, Herbalife e Schneider Electric) e buona parte di queste avrebbe già preso le contromisure per evitare il leak involontario di informazioni.
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