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Giu 21, 2023 Marina Londei Approfondimenti, Gestione dati, RSS, Scenario 0
Negli ultimi anni i dati hanno assunto un ruolo critico per l’operatività aziendale. L’economia moderna si basa sui dati e sulla capacità delle imprese di gestire il volume crescente di informazioni digitali, sfruttandole per ottenere un vantaggio competitivo sul mercato. Il funzionamento delle applicazioni moderne e il successo dei processi dipendono fortemente dalla quantità di dati a disposizione delle imprese e, man mano che li consumano, ne richiedono di nuovi per poter operare; il risultato è un fenomeno chiamato “data gravity”.
Il termine, coniato nel 2010 da Dave McCrory, descrive la tendenza dei grandi volumi di dati di attirare nuove informazioni col passare del tempo. Più un sistema è ricco di dati e li utilizza, più tenderà ad attrarne altri e ad appoggiarsi ad applicazioni per gestirli che a loro volta necessitano di nuovi dati per funzionare.
In un articolo per Security Intelligence, Doug Bonderud ha evidenziato i pericoli e le conseguenze della data gravity, in particolare per gli ambienti cloud, sempre più diffusi.
L’insieme di informazioni a disposizione delle imprese tende a diventare sempre più esteso e continua a espandersi con velocità crescente. Maggiore il volume di dati, minori le performance: le informazioni devono transitare dai dispositivi allo storage centrale, e man mano che aumentano in quantità cresce anche il tempo necessario a completare le operazioni.
Per risolvere la questione delle performance molte realtà hanno scelto l’architettura cloud per centralizzare i servizi; il problema, sottolinea Bonderud, è che ciò ha portato alla creazione di masse di dati ancora più grandi di prima.
Visto il crescente interesse per il cloud computing, i fornitori hanno investito su processi e tecnologie per assicurare il miglior livello di servizio ai propri clienti, sia in termini di protezione dei dati che di miglioramento delle performance, spostando la responsabilità su di sé; ciò non ha fatto altro che accelerare l’adozione della tecnologia spostando tutti i servizi dall’on-premise al cloud, con conseguente aumento del volume di dati sul cloud.
Il cloud rischia di diventare un “buco nero” perché, avendo tutte le applicazioni e i dati in remoto, difficilmente le imprese sceglieranno di spostare le proprie risorse, rimanendo di fatto legate a un fornitore esterno e all’architettura cloud.
Le aziende dovrebbero essere sempre in grado di trasferire applicazioni e dati su altri ambienti in caso di bisogno. Centralizzare tutta l’operatività su un unico cloud significa privarsi a priori della possibilità di cambiare architettura o di riportare alcune applicazioni on-premise.
La soluzione, spiega Bonderud, è di definire delle policy precise su quali applicazioni e quali dati appartengono al cloud, e quali invece dovrebbero rimanere nei data center aziendali. Le necessità variano in base alle funzioni di business, al tipo di servizio che si offre e al mercato in cui si opera.
Per resistere alla “forza d’attrazione” del cloud le imprese possono anche valutare di scegliere più fornitori in base al livello di servizio che offrono, distribuendo le applicazioni su più cloud.
Il problema della data gravity è in crescita e, per contrastarlo, è necessario che le aziende chiariscano i propri bisogni per individuare il luogo migliore dove eseguire ciascuna applicazione e memorizzare determinate classi di dati.
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