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Nov 22, 2016 Marco Schiaffino Attacchi, Gestione dati, News, RSS, Vulnerabilità 0
Com’è possibile che lo scorso 18 novembre un 17enne sia riuscito a mettere le mani su 45.000 account conservati in un database della Funzione Pubblica?
Il protagonista della violazione, che ha annunciato la pubblicazione di parte del database tramite il suo account Twitter a cui è registrato come Kapustkiy, non è un pirata informatico e preferisce non essere definito nemmeno un hacker.
La sua attività, ha precisato nei suoi tweet, è quella di “Security pentester”. Insomma: va a caccia di vulnerabilità per segnalarle e consentire agli amministratori di rendere più sicuri i siti che gestiscono.
La vicenda dell’attacco al sito mobilita.gov.it, però, oltre che una figuraccia per il governo italiano dovrebbe suonare come un allarme per chiunque abbia a cuore il processo di digitalizzazione della Pubblica Amministrazione.
Prima di tutto perché la presenza di una vulnerabilità banale come quella segnalata da Kapustkiy, una semplice SQL Injection ha dell’incredibile. Soprattutto in un sito che contiene informazioni sensibili, come i dati riguardo l’occupazione nella Pubblica Amministrazione.
“Ci sono sistemi che consentono di verificare automaticamente se un portale è vulnerabile a questo tipo di attacco” conferma Matteo Cafasso di F-Secure. “Per farlo, quindi, non serve una grande competenza o l’uso di tecniche particolarmente sofisticate”.
Il fatto che Kapustkiy si sia limitato a sottrarre alcuni dati a scopo dimostrativo, tutto sommato è già una fortuna. “Un attacco tramite SQL Injection, oltre che per sottrarre informazioni, può essere usato per modificare o cancellare i dati nel database” conferma Cafasso. “Nel caso di un sito della Pubblica Amministrazione, le conseguenze di un’azione del genere potrebbero essere gravissime”.
In secondo luogo, perché il “Security pentester” è arrivato alla decisione di sottrarre e pubblicare i dati come atto dimostrativo solo dopo aver tentato inutilmente di segnalare il problema.
“Molte aziende hanno messo in campo programmi di bug bounty in cui chi segnala una falla di sicurezza viene ricompensato. In questo caso, a quanto pare, Kapustkiy non è nemmeno riuscito a trovare qualcuno da contattare per avvisare del problema”.
Sul sito mobilita.gov.it, naturalmente, non c’è alcun contatto con gli amministratori del sito. Consultando una copia cache del 2 ottobre (al momento in cui scriviamo il sito è ancora offline per manutenzione) l’unico contatto che si trova è un’email che fa riferimento all’helpdesk. Difficile che possa essere di aiuto per segnalare una vulnerabilità.
Kapustkiy, infatti, ha contattato le persone indicate come responsabili nei dati di registrazione del dominio e un paio di indirizzi del Ministero degli Esteri, che evidentemente non hanno nemmeno capito di cosa si trattasse.
Secondo quanto dichiarato dai gestori del sito, tra l’altro, le persone contattate da Kapustkiy non hanno più nulla a che fare con la gestione del sistema, ma nei dati di registrazione sono ancora indicati come referenti. Una situazione che non stupisce più di tanto il ricercatore di F-Secure.
“Ci troviamo spesso di fronte a situazioni come questa” spiega Matteo Cafasso. “Quello che succede è che l’ente affida la realizzazione del sito a qualcuno e una volta concluso il lavoro la gestione viene affidata a qualcun altro, ma senza che ci sia un contatto fra i due soggetti. Oggi chiunque operi su Internet dovrebbe predisporre un sistema che consenta di segnalare eventuali problemi e vulnerabilità”.
Resta da vedere, inoltre, come fossero protetti quei dati. Stando alle dichiarazioni dei responsabili, infatti, le password erano cifrate. Ma con quale algoritmo?
Come insegna la cronaca recente, infatti, non tutti i sistemi di crittografia garantiscono l’inviolabilità dei dati. “I sistemi di crittografia più datati (come MD5) sono vulnerabili ad attacchi di brute forcing che possono essere fatti anche con servizi online” spiega Cafasso. “Purtroppo ci sono ancora molti amministratori che li usano, ma non offrono alcuna garanzia”.
Considerato che entro la fine del 2017 la Pubblica Amministrazione dovrebbe accelerare sulla digitalizzazione grazie anche all’introduzione del sistema SPID (che offre un unico username e password per accedere a tutti i servizi) l’idea che il livello di sicurezza rimanga così basso diventa ancora più preoccupante.
Pensiamo davvero di affidare i dati di milioni di cittadini a siti Internet gestiti in questo modo?
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