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Feb 08, 2017 Marco Schiaffino Attacchi, Hacking, Intrusione, Leaks, News, RSS 0
Nel Dark Web, si sa, c’è un po’ di tutto: siti con contenuti libertari, altri legati alla criminalità informatica e altri ancora che hanno contenuti più odiosi, come quelli legati al mondo della pedopornografia.
Controllarli attraverso i canali “tradizionali” è pressoché impossibile, ma qualche volta i bassifondi di Internet innescano dei meccanismi che permettono di fare pulizia senza che sia necessario coinvolgere le autorità costituite.
È quello che sembra essere successo con l’incursione di un gruppo di hacker che ha messo K.O. più di 10.000 siti (per l’esattezza 10. 613) ospitati da Freedom Hosting II nel Dark Web.
A rivendicare l’azione un gruppo della galassia legata ad Anonymous (nel comunicato usano il classico “We are Anonymous. We do not forgive. We do not forget. You should have expected us”) che hanno giustificato l’abbattimento dei siti col fatto che buona parte di questi ospitassero materiale pedopornografico.
Stando alla ricostruzione offerta dagli stessi hacker, l’intrusione nei server di Freedom Hosting II non avrebbe avuto lo scopo immediato di mettere offline i siti ospitati dal provider, ma la decisione sarebbe maturata una volta visti i contenuti ospitati.
In pratica, una volta avuto accesso ai sistemi, gli hacker si sarebbero resi conto che molti dei siti contenevano fotografie pornografiche con protagonisti bambini, di cui gli amministratori non potevano ignorare l’esistenza.
Freedom Hosting II, infatti, offre un servizio di hosting gratuito fino a una certa soglia di contenuti (256 MB) oltre i quali richiede un pagamento. Stando a quanto riportato dagli hacktivist, i siti in questione avrebbero rappresentato quasi la metà dello spazio gestito dal provider.
Insomma: gli amministratori non potevano non sapere quale fosse il contenuto dei siti in questione, da cui avrebbero ricevuto dei pagamenti. Di qui la decisione di abbatterli e pubblicare online il contenuto (74 GB di file e 2,3 GB di dati estratti dal database) dei siti incriminati.
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