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Set 04, 2017 Marco Schiaffino Approfondimenti, Attacchi, Gestione dati, Hacking, In evidenza, Leaks, RSS 0
Ci sono attacchi informatici che sono destinati a entrare nella storia. Tra questi ci sono di certo quello messo a segno nei confronti di Sony e quello, più recente, che ha visto vittima HBO, la casa di produzione della serie TV Il Trono di Spade.
Mentre però nel caso di Sony i ricercatori di sicurezza ritengono (ma le certezze in questo caso sono davvero poche) di aver individuato i responsabili in un gruppo di hacker che molti considerano collegato al governo della Corea del Nord, nel caso di HBO la vicenda è ancora troppo fresca per consentire di sbilanciarsi.
Sean Sullivan di F-Secure, però, in un post sul blog dell’azienda ha cominciato a mettere a fuoco le caratteristiche degli hacker che hanno sottratto più di 1,5 terabyte di dati dai sistemi informatici di HBO.
Sullivan parte dall’analisi dell’email che i pirati informatici hanno inviato a HBO quando hanno chiesto il riscatto di 6 milioni di dollari per la restituzione dei loro dati. E il primo paletto che mette è quello riguardo al fatto che si tratti di professionisti.
Nel suo messaggio, il fantomatico Mr. Smith specifica infatti che l’intrusione ha impegnato la sua “squadra” per la bellezza di sei mesi e che l’impresa è stata una delle più difficili che abbiano portato a termine.
Lo stesso hacker, poi, tratteggia le caratteristiche del gruppo in cui lavora, spiegando che spendono tra i 400.000 e i 500.000 dollari all’anno per procurarsi gli exploit zero-day che usano nelle loro azioni.
Soldi che, in ogni caso, avrebbero un “discreto” ritorno: stando a quanto dice il sedicente Mr. Smith, la banda riuscirebbe a guadagnare tra i 12 e i 15 milioni di dollari all’anno. Insomma, non siamo di fronte a un gruppo di hacker improvvisati o a semplici attivisti in cerca di gloria.
La conferma arriva dagli stessi criminali, che nel (lunghissimo) messaggio scrivono “non chiamateci hacker, siamo professionisti dell’IT” e arrivano addirittura a definirsi “white hat”, cioè hacker “buoni”.
“Gruppi di questo tipo non sono comuni, ma non rappresentano un caso unico. “Un gruppo con caratteristiche simili è quello che si fa chiamare The Impact e che ha messo a segno la violazione di Ashley Madison (il celebre sito per incontri extra-matrimoniali -ndr) sostenendo di avere agito spinti da motivazioni etiche perché sostenevano che Ashley Madison ingannasse i suoi iscritti” ci ha spiegato Sullivan.“Molti gruppi di hacker seguono questa logica” prosegue il ricercatore di F-Secure “ma raramente prendono di mira bersagli importanti come HBO”.
Sullivan, però, va oltre e prova anche a ipotizzare la possibile nazionalità dei cyber-criminali, sempre prendendo spunto dal testo del messaggio.
Le frasi su cui concentra l’attenzione sono due. La prima è quella che limita le ipotesi ai continenti americani. Il fantomatico Mr. Smith, infatti, a un certo punto scrive “anche noi odiamo Trump come tutti gli altri americani”.
Attenzione, però: anche se noi italiani (e come fa notare Sullivan questo succede anche negli USA) siamo abituati a considerare “americani” in primo luogo gli statunitensi, il termine può indicare anche altri abitanti del Nord America (Messico o Canda) così come del Centro o Sud America.
Proprio quest’ultima sembra l’ipotesi che convince di più Sullivan. A convincerlo è la seconda frase (la traduzione è nostra) a cui fa riferimento: “non andate dall’FBI o da altri fo***ti idioti. Sono troppo impegnati o incapaci”.
Il termine “incapaci” nell’originale è “shoemaker”, cioè letteralmente “calzolaio” o “ciabattino”. In questa frase però è usato in senso dispregiativo e, nel suo post, Sullivan sottolinea di non aver mai incrociato questo termine usato in modo simile.
Secondo lui (il suggerimento gli sarebbe arrivato da un collega) si tratterebbe di un’espressione tipica dell’America Latina e, in particolare, Argentina.
Dopo qualche ricerca (grazie a Mabel Vargas per il prezioso aiuto) abbiamo in effetti trovato una traccia in questo senso. Nel gergo criminale argentino (lunfardo) il termine spagnolo zapatero è effettivamente utilizzato in senso dispregiativo nel senso di “ultimo degli sciocchi”, “inutile”.
C’è anche da dire, però, che lo stesso termine inglese shoemaker, secondo Urban Dictionary (un dizionario dedicato allo slang locale) ha un significato simile: incapace, pigro, inetto. Non sarebbe però così comune.
“Io sono statunitense e non ho mai sentito questa espressione usata in maniera simile” ci conferma Sullivan. “L’indicazione di un gruppo di lingua spagnola, però, arriva dal nostro team di analisi linguistica. Si tratta di esperti che normalmente analizzano documenti come questo e hanno padronanza di oltre 20 lingue”.
A far puntare in questa direzione però non sarebbe solo quel singolo termine. “Secondo i nostri esperti l’ipotesi è supportata anche da altri elementi come l’uso della grammatica, delle maiuscole e la costruzione delle frasi. Secondo i nostri esperti si tratta di persone di lingua spagnola” conclude il ricercatore di F-Secure.
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